29/10/2021
Le conseguenze. Lo sguardo di chi resta di Stefania Prandi denuncia un sistema disfunzionale attraverso «lo sguardo di chi resta».
La mostra fotografica di «Le conseguenze. Lo sguardo di chi resta» continua a girare per l’Italia e l’Europa – il 19 ottobre Stefania Prandi si è recata anche presso la Libreria Italiana di Lussemburgo.
«Lo sguardo di chi resta» è finalmente protagonista della narrazione sui femminicidi, spesso spettacolarizzata e basata sull’intrattenimento, piuttosto che sull’informazione. Lo scopo del racconto della violenza di genere, dovrebbe essere quello di sensibilizzare ed educare chi ascolta alla prevenzione e al rispetto, e non offrire un fatto di cronaca da divorare davanti alla tv la sera prima di andare a dormire. Così il racconto diventa una storia tra tante che ci commuove, che propone una visione superficiale e dicotomica della realtà: vittima debole e carnefice crudele. Quest’ultimo, in un certo modo di fare informazione, assume anche connotati mostruosi, da «orco», psicopatici. La normalizzazione della violenza diventa immediata: o diventa un fatto naturale, perché «tutti gli uomini sono così» o si tratta di pazzi, quindi sono cose che capitano, purtroppo, ed è comprensibile. Il messaggio essenziale che dovrebbe essere percepito dal pubblico, invece, riguarda il carattere quotidiano della violenza di genere, la sua sistematicità e diffusione in ogni aspetto della vita ordinaria. Chi compie violenza di genere, non è un «malato», ma una persona comune. Lo ricorda anche Prandi nel suo libro: «Nonostante una ricerca dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (condotta su venti sentenze di condanna tra il 2011 e il 2016, in diverse parti d’Italia) dimostri che in genere i femminicidi sono “l’esito di una lucida e irrevocabile programmazione pianificata nel tempo”, metà delle assoluzioni dovuta al riconoscimento dell’incapacità di intendere e volere».


Il lavoro di Prandi (stefaniaprandi.it) affronta questa narrazione mettendo al centro le parole di chi conosceva le vittime: famigliari, amici e amiche, colleghi e colleghe di lavoro, figli, sorelle e fratelli ecc. Un reportage lungo tre anni in cui, tramite le interviste raccolte, si legge un sistema che ignora, banalizza o ridicolizza le denunce e i ricorsi fatti da parte delle donne già prima che la loro vita venisse cancellata. Le istituzioni che dovrebbero affrontare la violenza di genere, di fatto la alimentano contribuendo alla cancellazione dell’esistenza delle donne. Non ascoltare, equivale ad essere complici. Per chi resta, invece, la vita dopo il femminicidio coincide con spese legali non sempre sostenibili, processi, umiliazioni dentro e fuori dai tribunali, risarcimenti che non arrivano.

Le persone che sopravvivono testimoniano alla giornalista il silenzio e la trascuratezza delle istituzioni, oltre a denunciare il modus operandi dei mass media che si nutrono di queste storie per aumentare l’audience, perseguendo un fine capitalistico ed emotivo, piuttosto che politico. Ciò ha portato alcune famiglie a rifiutare gli inviti in TV, e a portare le proprie parole in libri che vengono pubblicati, nelle scuole, in conferenze e associazioni che permettono alle persone vicine alle vittime di raccontare il loro punto di vista, di restituire la vita delle donne uccise con dignità, e non spettacolizzando i fatti. I risultati si ottengono quando una studentessa o uno studente iniziano a riconoscere le stesse dinamiche violente nelle loro relazioni o in quelle di qualcuno che conoscono, e non quando il femminicidio diventa talk show che mette in questione in modo provocatorio e malizioso il comportamento delle donne, per cui «se la sono cercata». Un esempio è quello riportato da un «orfano speciale» (figli e figlie di madri uccise da padri) a Stefania Prandi, informando di quando una volta si era recato in una scuola per raccontare la sua storia: «Dopo un po’, nell’aula magna, una ragazza è scoppiata a piangere a dirotto. La psicologa che era con me quella mattina l’ha raggiunta ed è venuta a sapere che stava subendo violenze dal fidanzato; tra le varie vessazioni, le spegneva le sigarette addosso». La ragazza, diciassettenne, poi si è rivolta a un centro antiviolenza e ha iniziato un percorso.



Nel lavoro dell’autrice, chi resta non diventa visibile solo nei racconti, ma anche nella mostra fotografica che presenta trenta ritratti che ricostruiscono le storie di donne vittime di femminicidio proprio nello sguardo di chi sopravvive (qui alcune immagini). Le fotografie dedicano al pubblico il tempo per la riflessione sul dolore, sostituendo la spettacolarizzazione del dolore che abita i media.


Come detto in apertura, la mostra ha raggiunto anche Lussemburgo, invitata da Time For Equality, e sarà esposta dal 19 ottobre al 16 novembre. È il primo evento interno alla serie «Espressioni dell’umanità – In quale mondo vogliamo vivere», un ciclo di incontri organizzato dal 2018, in collaborazione con Le Rotonde, al fine di sensibilizzare sulle questioni importanti dei nostri tempi e promuovere il cambiamento.


La mostra fotografica, prima di arrivare nel Lussemburgo, è passata per Bologna nel 2019, Cagliari, Trieste e Perugia nel corso del 2021. Il prossimo appuntamento è a Castel Maggiore (Bologna) con Zona Franca – Centro culturale e di documentazione Franca Rame, il 27 ottobre (qui ulteriori dettagli). Seguiranno, a novembre, altre presentazioni e incontri a Cesena, Sulmona, Mantova, Bolzano, Alessandria e Pisa.


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Redazione web